la settimana santa

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LA STATUA DI SAN MICHELE – TRA STORIA E POESIA di Ciro Ferrigno

10866089_341734232700122_8241858218988023253_o Oramai Rosina dormiva poco. Prima la perdita dell’unico figlio, in circostanze non del tutto chiare in mare, poi la morte del marito l’avevano lasciata in uno stato di tristezza immensa, in parte mitigata dalla fede salda nel suo Dio. Rosina si alzava, spesso, prima che sorgesse l’alba e, indossato il grande scialle di lana, si andava a sedere vicino alla finestra; lì pregava e mangiava noci, tostate nella cenere del focolare. Abitava a Gottola, antichissimo rione di Carotto, e dalla finestra vedeva in lontananza la cima del Monte Vico Alvano. Giù, di fronte, un grande giardino di alberi da frutta: aranci, limoni, un ciliegio, nespoli ed un grande gelso, che troneggiava maestoso con la chioma di foglie e il tronco massiccio con i rami pieni di nidi.
Rosina era attratta da quell’albero. Le era capitato più volte nelle ore antelucane, di scorgere nei suoi pressi un giovane alto, biondo e dalla corporatura possente. Questi guardava l’albero come a volerlo analizzare, lo toccava piano, quasi timoroso di fargli del male e poi si allontanava. Certe mattine l’albero sembrava assorbire il rosa dell’aurora, altre volte i colori dell’iride e, cosa più strana, sembrava agitarsi al vento, quando il vento non c’era, emanare riflessi di luce lunare o creare un vortice nella sua chioma di fronde. Era come se uno stuolo di angeli venisse a volare tra i suoi rami. Una notte Rosina si svegliò di soprassalto, corse alla finestra e, per un attimo, vide l’albero di gelso divorato dalle fiamme e quel giovane, con la spada sguainata, che cacciava via qualcuno, allontanando il fuoco stesso. La donna provò a raccontare la storia a delle amiche, ma nessuna le credeva, per loro quel gelso era un albero qualunque. L’incendio? Avrebbe dovuto lasciare almeno dei segni… Non c’era nulla. Rosina, a parere delle altre donne, avrebbe fatto bene a riposare di più.
Poi un mattino ci fu un grande trambusto. Uomini con corde e seghe, carrucole, asce, martelli erano nel giardino, con l’evidente scopo di tagliare l’albero dalle radici. Rosina aprì la finestra e gridò verso quel gruppo: “Che state facenno, pecché ‘o vulite taglià…è nu peccato, ‘na cattiveria… lasciat’o ssta’, jatevenne!” Un contadino che la conosceva, le rispose: “Rusì, ‘a chist’albero asciarrà ‘a statua ‘e Santu Michele pe’‘a chiesa nosta, …nun sì cuntenta? ‘Stu lignammo è legna santa… ‘a mano ‘e n’artista ne farrà ascì l’Arcangele Michele… nuje primma d’’o taglià ‘nce simmo fatto ‘o segno ‘e croce!” Rosina, dalla finestra ammutolì, si segnò e cominciò a pensare a tutte quelle visioni…il giovane uomo, la luce, i colori, il fuoco…
Il lavoro durò ore ed ore. L’albero possente fu tagliato, staccati i rami, tolte le foglie; poi, con l’ausilio delle carrucole, fu issato su di un grande carro, al quale erano legati due buoi. Rosina corse nel piccolo giardino e, in una guantiera, raccolse petali di rose, fiori di paradiso e zagare odorose. Quando il carro, a gran fatica, uscì dal cancello del giardino e passò sotto la sua finestra, gettò sul tronco tutti i petali, gridando: “Viva Santu Michele e tutte l’angele d’o Paraviso!”
Passarono lunghi mesi, quelli piovosi dell’autunno, quelli tristi dell’inverno, freddi e uggiosi, e sempre Rosina all’alba andava a sedersi vicino alla finestra. Le mancava il grande albero di gelso, ma l’idea, che prima o poi l’avrebbe visto trasformato nella nuova statua di San Michele, la riempiva di gioia. Per la nuova chiesa, ricostruita dopo le distruzioni provocate dal devastante terremoto del 1688, occorreva un nuovo simulacro del Protettore ed il popolo non aveva badato a spese. E giunse il tempo. All’alba del 28 maggio 1724 le nuove campane della chiesa di San Michele si sciolsero in un grande suono di festa. Suonavano “a gloria” perché in giornata sarebbe arrivata da Napoli la nuova statua dell’Arcangelo, interamente laminata in oro e argento, un pregevole manufatto opera dello scultore Giuseppe Maresca.
Il Parroco del Piano, don Pietro Mastellone, in piviale con il clero al gran completo ed una moltitudine di popolo, si recò processionalmente a rilevarla alla marina di Cassano. Il bellissimo San Michele, quando scese dalla barca bardata col gran pavese, fu salutato dallo sparo di mortaretti e dal suono delle barche e delle campane di tutto il Piano: la più vicina era quella della Madonna delle Grazie alla Marina. Battimani, ovazioni, evviva, petali di fiori accompagnarono il corteo da Cassano alla chiesa. Rosina piangeva per la gioia e riconobbe, in quella Immagine, il giovane che tante volte aveva visto aggirarsi intorno all’albero di gelso. Le sembrava impossibile che un artista avesse potuto creare da un tronco d’albero una immagine così grandiosa e perfetta. Mentre era assorta nei suoi dubbi e la statua procedeva per la piazzetta di Gottola, uno stuolo di passerotti andò a posarsi sul San Michele, come tra i rami del vecchio, caro gelso. Rosina, non ebbe più dubbi, gridò a gran voce, piangendo: “Viva Santu Michele e tutte l’angele d’o Paraviso!”

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