Non è semplice per noi oggi, a distanza di più di mille anni, poter capire le motivazioni che indussero i nostri progenitori ad affidarsi al celeste patrocinio dell’Arcangelo Michele. Ci soccorre la logica nel farci ritenere che tale atto di affidamento sia stato determinato sull’onda emotiva di un fatto eclatante, conosciuto bene da tutti, passato di bocca in bocca e diventato epico e fortemente sentito come proprio. Il “fatto” in questione potrebbe riferirsi alle apparizioni di San Michele sul Monte Gargano in Puglia (490-493) o a quella sul Monte Faito ai santi Antonino e Catello (604-606 circa). Michele è l’Arcangelo che appare sui monti e viene venerato nelle grotte e Piano di Sorrento sembra essere un altare privilegiato, essendo terra di grotte a profusione, circondato da picchi di monti.
Una sola mano o una folla di mani innalzò la Croce su quel tempio pagano dove oggi sorge la Basilica? Alla radice dei nostri giorni, nelle prime pagine della storia carottese c’è questo atto coraggioso che rende la nostra chiesa madre “estaurita” , ovvero consacrata alla cristianità con una dichiarata conversione alla nuova fede, mediante l’esposizione del suo simbolo supremo: la croce. La storia non ci tramanda notizie ed i secoli hanno cancellato le memorie dei fatti e delle vicende di quei tempi lontani. Ma quando San Michele ha espletato il suo patrocinio sulla nostra città? Sono almeno tre le circostanze che vengono riconosciute ed accettate, per quanto il tempo abbia depositato sui fatti stessi la sua aura di leggenda.
Nel 1558 i Turchi mettono a ferro e fuoco Sorrento e Massalubrense. Lasciano una scia di morte, distruzione e saccheggi e centinaia di persone finiscono in prigionia, trascinate in Oriente per essere vendute sul mercato degli schiavi. Il Piano non viene toccato. I sorrentini, sulle prime, incolpano i pianesi, di aver aperto la porta di Marina Grande agli assalitori. Solo più tardi si saprà che è stato uno schiavo moro della famiglia Correale a compiere il misfatto. Gli abitanti del Piano, che nel momento del pericolo hanno invocato l’Arcangelo, lo ringraziano, accendono i ceri e innalzano inni per ringraziarLo. Ancora è l’Arcangelo che nel 1656 protegge Carotto nella tremenda pestilenza che miete centinaia di migliaia di morti in tutto il Viceregno di Napoli. Ventidue morti, e tra questi il parroco don Tobia Cennamo, sono poca cosa di fronte al vortice del male che sembra stingere la nostra terra. La popolazione ringrazia l’Arcangelo ed il pittore Giuseppe Castellano immortala l’evento in una grande tela votiva. Infine, nel 1688, poco prima della disastrosa scossa di terremoto del sei giugno, tutti odono distintamente i tocchi della campana piccola di San Michele, che suona, si saprà, da sola. Era la campana che si usava per allertare la popolazione in caso di calamità naturale o di avvistamento di navi saracene. Pochi minuti, il tempo di scendere in strada ed è l’apocalisse. Crolla in gran parte la chiesa, è distrutto il campanile con le campane, danni ingenti ai fabbricati. La popolazione è certa che l’Arcangelo stesso abbia suonato la campanella ed in pochi anni ricostruisce il tempio, conferendogli il massimo splendore e commissiona la nuova, magnifica statua del celeste protettore.
Quante storie e quanta storia ha inghiottito il tempo? Uomini salvati in mare, malattie risanate, pace ritrovata, voti esauditi, quante cose non sono giunte fino a noi? Ma le testimonianze di fede, fede viva, manifestano l’attaccamento del popolo carottese verso il grande Arcangelo che lo protegge da secoli e secoli, in una gara d’amore con la veneratissima Madonna delle Grazie.
Il racconto del lunedì di Ciro Ferrigno
IL PATRONATO DI SAN MICHELE SU PIANO DI SORRENTO (di Ciro Ferrigno)
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