Occhi che ci fissano da dietro un cappuccio, un sottile strato di stoffa ci separa da essi ma in realtà quel lembo di stoffa, bianco, nero o rosso, è una barriera che ci trasporta in un’altra epoca. Quegli occhi anonimi potrebbero essere gli occhi di nostro nonno o di un nostro nipote, figlio di un nostro figlio che ancora deve nascere. Questa è la magia della nostra Pasqua. Una Pasqua che si apre la sera del Giovedì Santo quando il primo lampione dell’Annunziata si accende e termina la sera del Venerdì Santo allo spegnersi dell’ultimo lampione dei Neri. Un Pasqua in cui si insegue il suono di un tamburo, si ci commuove alle prime note dell’Inno che abbiamo imparato chissà quando e non potremo più dimenticare, si attende nella notte al profumo dei fiori di arancio l’apparire in lontananza della fioca luce dei lampioni, si saluta l’alba del Venerdì di Parasceve all’ombra del Tronco o dell’Addolorata. Una Pasqua che è solo nostra e di pochi eletti che pur venendo da altri luoghi sono riusciti a capire, a sentire fino in fondo, cosa rappresentino quegli incappucciati. Gli incappucciati sono la nostra Storia, le nostre Radici, ed anche il nostro Futuro. Sfilano tra ali di folla o solitari tra muri di tufo e, mentre intorno il tempo scorre regolarmente, all’interno di quei fiumi bianchi, neri o rossi il tempo si è arrestato a decenni o secoli fa. Ognuno di noi vede sotto quei cappucci il padre o il nonno, ognuno sa che a precederli ci sono invisibili ma tangibili presenze di chi in passato si è preso cura di custodire e preservare quelle tradizioni. Davanti alla Nera ormai da molti anni sfila don Alberto e, da quest’anno, si aggiunge il Comandante Pietrantonio Iaccarino. Precede Mortora don Mattia, Trinità vede in apertura don Antonio, i Luigini l’immancabile sorriso di don Antonino e così via. Ed ognuno di noi aggiunge altre invisibili personalissime presenze, tutte lì in una notte senza tempo. Noi li vediamo, noi li sentiamo lì vivi e presenti, i nostri ricordi popolano le nostre processioni e le rendono testimonianza vivente del nostro essere comunità. Gli altri si accontentino di godersi l’emozione di un evento che non gli appartiene, credano pure di capire ciò che non possono capire. Quando vedranno i nostri occhi inumidirsi alle prime note del Calvario cercheranno una spiegazione ma noi non potremo aiutarli, noi saremo già partiti a ritrovare il padre che ci ha lasciato o l’amico di fila che con noi ha passato tante notti in compagnia di un lampione e che ormai non c’è più. Noi privilegiati senza alcun merito abbiamo un solo grande dovere tenere “pulite” queste tradizioni, evitare che eventi collaterali seppur bellissimi e meritori vengano anche solo lontanamente paragonati o avvicinati a ciò che per natura è imparagonabile e inavvicinabile. Le manifestazioni collaterali passano, gli incappucciati provengono da secoli di storia e rimarranno per secoli a fare la nostra storia, loro sono Carotto il resto è solo cronaca.